“L’uomo, nella sua arroganza, si considera una grande opera, degna dell’intervento della divinità. Più umile e, io credo, più verosimile, ritenerlo creato dagli animali -. Darwin scrisse queste parole nel 1838.
( ... ) Le implicazioni religiose del darwinismo sono state molto dibattute. Ma il darwinismo pone problemi anche alla moralità tradizionale. Non meno della religione, la moralità tradizionale presuppone che l’uomo sia una grande opera. Essa attribuisce agli umani uno status morale superiore a quello di ogni altra creatura sulla terra, e considera la vita umana, e solo la vita umana, sacra, vedendo nell’amore per il genere umano la prima e più nobile virtù.
"Ma - continua Rachels - secondo il più noto e convinto difensore contemporaneo del darwinismo, Stephen Jay Gould, non vi è necessariamente un radicale conflitto tra il darwinismo e i valori tramandati, o tra i valori in genere, anche se ciò non esclude che possa esserci un qualche rapporto: “Quale sfida possono costituire i fatti della natura per le nostre decisioni circa il valore morale delle nostre vite? Noi siamo quello che siamo, ma possiamo scegliere come interpretare il significato della nostra esistenza. La scienza non può rispondere alle domande su come dovremmo vivere più di quanto la religione non possa darci indicazioni sull’età della terra”.
Si tratta del vecchio problema del rapporto tra fatti e valori, tra “essere” e “dover essere”.
“La teoria di Darwin, se è corretta, riguarda questioni di fatto. Ci dice qual è la situazione per quanto concerne l’evoluzione della specie. In senso stretto, dunque, da essa non deriva alcuna conclusione per le questioni di valore”.
E per quanto concerne i principi della religione, è stato spesso osservato che la selezione naturale potrebbe essere il mezzo scelto da Dio per creare l’uomo: “se così fosse, gli umani potrebbero ancora essere visti come il coronamento del creato, oggetto di divina benedizione”.
(James Rachels, La morale di Darwin)