La rivoluzione della new economy (Brano II)
L’era industriale si caratterizzava come un mondo di forza bruta, corpi e sudore; un’epoca in cui l’uomo pensava e costruiva macchine gigantesche per scoprire, estrarre e trasformare la materia, e farne bei materiali; un’epoca in cui i risultati dell’attività umana venivano misurati in altezza, peso e densità, nella convinzione che “grande” fosse anche “bello”. Nell’era industriale, l’uomo ha colato cemento su ogni spazio disponibile della crosta terrestre, per creare un gigantesco pavimento fra se stesso e il mondo naturale; ha tracciato autostrade nei grandi spazi; ha costruito fino all’altezza delle nuvole e oltre la linea dell’orizzonte, trasformando intere aree naturali in proprietà lottizzate. L’odore pungente della combustione dei materiali fossili, le nubi degli scarichi industriali che oscurano il cielo e il suono inarrestabile delle macchine che sibilano, martellano e ronzano incessantemente sono i simboli del gigantesco esperimento faustiano con cui l’uomo ha creduto di poter trasformare il mondo a propria immagine e somiglianza. Egli ha poi ricostruito un simulacro di natura attraverso la giustapposizione di minuscoli frammenti di proprietà privata, trasformando ogni individuo in un dio minore, padre e padrone del proprio Eden in formato tascabile, stipato all’inverosimile di totem e simulacri della creazione primigenia.
In un’era di proprietà e di mercati intrisi di valori materiali, essere onnipresenti era ciò che rendeva l’uomo simile a Dio; ed essere in grado di espandere la propria presenza fisica, impadronendosi quanto più possibile dell’esistenza materiale, era ciò a cui tutti tendevano. Si trattava davvero, come cantava Madonna, di un “mondo materiale”.
La nuova era, al contrario, è più immateriale e cerebrale; è un mondo di forme platoniche, di idee, immagini, archetipi, concetti e finzioni. Se l’individuo, nell’epoca industriale, si preoccupava di possedere la materia per manipolarla, il rappresentante tipico della prima generazione dell’era dell’accesso è assai più interessato alla manipolazione delle menti. Nell’epoca dell’accesso e delle reti, in cui le idee sono il fondamento dei commerci, essere onnisciente è ciò che rende l’uomo simile a Dio; ed essere universalmente connesso, in modo da poter dare forma alla stessa coscienza umana, è quello che muove l’attività economica in ogni settore.
L’uomo si nutre di idee e di pensiero come di pane e di vino. Se l’era industriale ha nutrito il nostro essere corporeo, l’era dell’accesso alimenta il nostro essere mentale, emotivo e spirituale. Mentre l’era che sta volgendo al termine si caratterizzava per il controllo dello scambio di beni, la nuova era si caratterizza per il controllo dello scambio di concetti. Nel ventunesimo secolo, le imprese saranno sempre più coinvolte nello scambio di idee e, a loro volta, gli individui saranno sempre più propensi ad acquistare l’accesso a tali idee ed all’involucro materiale in cui saranno contenute.
La capacità di controllare e vendere pensiero diventerà la forma più sofisticata di abilità commerciale.
I bilanci sociali raccontano la storia. La proprietà di beni materiali sta diventando meno importante e contribuisce sempre meno alla creazione di valore; la proprietà intellettuale, invece, è la nuova ricchezza. Nella nuova era, la mente domina la materia. Prodotti più leggeri, miniaturizzazione, contrazione degli spazi di lavoro, scorte just-in-time, leasing e outsourcing sono le prove della svalutazione di una visione materiale del mondo che ha posto l’accento sulla fisicità. Questo, però, non deve creare l’illusione che egoismo, avidità e sfruttamento stiano per scomparire: anzi, l’età dell’accesso rischia più che mai di nascere sotto il segno dello sfruttamento. Nel mondo di oggi, controllare le idee dà più potere del controllo sullo spazio e sul capitale fisico: la disponibilità della comunità finanziaria ad investire nel capitale intellettuale nella sua forma più pura, a colpi di centinaia di miliardi di dollari, testimonia il cambiamento delle priorità del sistema capitalistico, la cui identità troppo a lungo è stata vincolata al capitale fisico.